Recensione di Malatesta dello scritto di Merlino: «Collettivismo, comunismo, democrazia socialista e anarchismo», pubblicata sull’Agitazione del 6 agosto 1897.
Con questo titolo e col sottotitolo «tentativo di conciliazione» Saverio Merlino ha pubblicato nella Revue Socialiste di Parigi un articolo, che la Direzione di quella Rivista chiama una contribuzione alla sintesi delle dottrine socialiste.
E contribuzione a detta sintesi lo sarà forse, poichè ogni studio delle varie dottrine rischiara l’argomento, tende a toglier di mezzo i dissensi che non hanno ragione di essere, e può menare alla conciliazione se arriva a stabilire che differenze sostanziali non ne esistono. Ma il fine pratico che Merlino si proponeva, quello cioè di dimostrare che le dottrine dei socialisti democratici e dei socialisti anarchici, lungi dall’essere inconciliabili, si correggono e si completano a vicenda, è certamente mancato, poichè egli mette male la questione, e confonde dottrine e partiti in un modo che fa davvero meraviglia in un uomo di mente così lucida e così bene informato come è Merlino.
L’articolo si divide in due parti. Nella prima Merlino parla della differenza tra comunismo e collettivismo, pigliando queste parole nel senso, diremo così, classico che esse avevano per tutti al tempo dell’Internazionale: vale a dire, Comunismo, come il sistema, in cui tutto, strumenti e prodotti di lavoro, è a disposizione di tutti, senza tener calcolo del contributo di ciascuno all’opera collettiva, conforme alla formula «da ciascuno secondo le sue forze e a ciascuno secondo i suoi bisogni»; – Collettivismo, come il sistema in cui, stabilita l’eguaglianza di condizioni, garantito a tutti l’uso delle materie prime e degli strumenti di lavoro, ciascuno è padrone del prodotto del suo lavoro. Egli sostiene che tanto il Comunismo quanto il Collettivismo, se interpretati in un modo stretto, assoluto, sono l’uno e l’altro impossibili o non soddisfacenti, e fa molte osservazioni giuste, che abbiamo fatto anche noi in questo giornale o altrove. E conchiude che col contemperamento dell’un sistema coll’altro – facendo distinzione tra relazioni sociali necessarie e fondamentali e rapporti volontari e variabili tra gl’individui – si può arrivare ad «una buona organizzazione sociale che non soffochi l’energia dell’individuo levandogli ogni iniziativa ed ogni libertà d’azione, e che nello stesso tempo assicuri il funzionamento armonico delle attività individuali», o, in altri termini, che concili la libertà individuale colla necessaria solidarietà sociale.
La questione è molto interessante e può essere, ed è stata, oggetto di utile discussione; ma non ha nulla a vedere colle differenze che dividono democratici e anarchici. Vi possono essere, e vi sono stati e vi sono, anarchici collettivisti e anarchici comunisti, al pari che democratici collettivisti e democratici comunisti.
Negli ultimi anni i socialisti democratici, chiamandosi insistentemente collettivisti, sono riusciti ad identificare quasi il collettivismo colla democrazia socialista; ma in questo senso il Collettivismo più che un sistema di distribuzione dei prodotti del lavoro, è il sistema della organizzazione socialista per opera dello Stato e non è più il Collettivismo di cui discute Merlino in paragone col Comunismo.
Per gli anarchici, la sintesi e la conciliazione tra Collettivismo e Comunismo si può dire già un fatto compiuto, poichè nessuno più interpreta quei sistemi in un modo stretto e assoluto; e lo prova il fatto che, almeno come partito militante, essi si denominano generalmente coll’appellativo comprensivo di socialisti anarchici, lasciando alle discussioni teoriche dell’oggi ed agli esperimenti pratici di domani la scelta tra i vari modi di organizzazione del lavoro e di distribuzione dei prodotti.
Nella seconda parte del suo articolo Merlino parla della necessità di un’organizzazione permanente degli interessi collettivi, e delle forme che assumerà tale organizzazione; ed arriva ad una conciliazione verbale, che in realtà lascia la questione al punto di prima.
Egli parla dei grandi interessi sociali, che eccedono l’interesse e la vita stessa dell’individuo, ed a cui bisogna che provveda la collettività; cerca qual’è la forma politica che può dare una più sincera espressione della volontà collettiva e meglio evitare ogni pericolo di oppressione, e conchiude:
«Nè governo centralizzato nè amministrazione diretta. L’organizzazione politica della società socialista deve consistere nel riconoscimento dei diritti e libertà intangibili dell’individuo (diritto all’uso degli strumenti collettivi del lavoro, diritto d’associazione, d’istruzione, libertà di pensiero, di parola, di stampa, di scelta di lavoro, ecc.) e nell’organizzazione degli interessi collettivi per delegazione ad amministratori capaci, revocabili e responsabili, che agiscano sotto il sindacato diretto del popolo, gli sottomettano i loro atti più importanti (referendum) e restino separati ed indipendenti l’uno dall’altro, affinchè non vi sia coalizione per l’esercizio di un’autorità simile all’autorità governativa attuale».
«L’essenza della democrazia sta nell’assenza di una tale coalizione, e nella ricerca delle forme di amministrazione che lasciano il meno possibile all’arbitrio degli amministratori. In questo senso non v’è differenza sostanziale tra democrazia e anarchia. Governo del popolo – niente oligarchia – significa in sostanza non governo. Il governo di tutti in generale (democrazia) equivale al governo di nessuno in particolare (anarchia)».
Ancora una volta Merlino è fuori della questione.
Il modo di organizzare od amministrare gl’interessi collettivi è questione importantissima e troppo trascurata, come giustamente osserva il Merlino, dai socialisti di tutte le scuole. Ma se s’intende paragonare le soluzioni dei democratici a quelle degli anarchici, in vista di una possibile conciliazione, bisogna rimontare alla differenza sostanziale che divide le due scuole, e non già fermarsi a discutere sul valore relativo dei vari sistemi rappresentativi, del referendum, del diritto d’iniziativa, del governo diretto, del centralismo, del federalismo, ecc. E la differenza sostanziale è questa: autorità o libertà, coazione o consenso, obbligatorietà o (ci si perdonino i neologismi) volontarietà. È su questa questione fondamentale del supremo principio regolatore dei rapporti interumani che bisogna intendersi, o almeno discutere, tra democratici e anarchici; poichè, se non vi è intesa su di essa, non vi può essere intesa sulle questioni speciali di organizzazione, e quand’anche si arrivasse ad un accordo a parole, come quello a cui arriverebbe Merlino, si scoprirebbe presto che l’accordo s’è fatto adoperando le stesse parole in sensi diversi.
Scendiamo alla pratica. Supposto che domani il popolo fosse padrone di sè (non si allarmi il Fisco, poichè si tratta di semplici supposizioni) dovrà esso nominare un potere costituente, che decreterà una nuova costituzione, che farà la legge, che organizzerà la nuova società? Oppure la nuova organizzazione sociale dovrà sorgere, dal basso all’alto, per opera di tutti gli uomini di buona volontà, senza che a nessun o sia dato il diritto di comandare e d’imporre? In altri termini, per servirci della frase consacrata, bisogna conquistare, oppure abolire i pubblici poteri?
Si può parteggiare per l’uno o l’altro metodo, si può anche cercare qualche cosa d’intermedio, come pare desidererebbe Merlino, ma non si può, quando si cerca di arrivare ad una conciliazione tra democratici ed anarchici, tacere quello che è il loro dissenso fondamentale.
E per oggi basta. Ritorneremo sulle dottrine e sulle tendenze di Merlino, quando ci occuperemo, in uno dei prossimi numeri, del suo libro recente: «Pro e contro il socialismo».
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- CONCLUSIONE
Conclusione della polemica pochi giorni prima dello arresto del Malatesta. L’articolo è pubblicato dalla Agitazione del 13 gennaio 1898 e prende spunto da un’allusione alla polemica contenuta in un articolo che Merlino aveva pubblicato sulla Rivista Popolare diretta dal Colajanni.
Per una deferenza personale, che qualcuno ha voluto rimproverarci e di cui non ci pentiamo, e per l’onesto desiderio di far udire ai nostri lettori le due campane e metterli in grado di poter giudicare con piena cognizione, noi aprimmo a Merlino le nostre colonne.
Egli preferì dichiararsi offeso della critica del Malatesta e troncar la polemica… per andarci poi ad attaccare, incidentalmente, in nota ad un suo articolo pubblicato nella rivista del Colajanni.
E questo è nel suo diritto. Egli può attaccarci e criticarci quando e dove gli pare; ma però non dovrebbe credersi in diritto di falsare le nostre idee, che egli conosce, poichè non è ancora molto tempo che insieme a noi le professava e difendeva.
Nella nota sopraccennata egli dice: «Solo qualche anarchico amorfista può dire con Malatesta: Noi anarchici vogliamo che il popolo conquisti la libertà e faccia quello che vuole».
Lasciamo stare, perchè non importa alla questione, se si tratta di qualche o di molti o di tutti gli anarchici. Ma perchè mai Merlino ci chiama amorfisti?
Storicamente, questa parola è stata adoperata o per indicare un modo speciale di concepire le relazioni tra uomini e donne, o, più comunemente, per distinguere i partigiani di certe concezioni individualistiche della vita sociale, che ebbero voga negli anni scorsi fra anarchici e che a noi sembrarono, d’accordo allora col Merlino, delle aberrazioni. E in quel senso l’appellativo di amorfisti, in bocca a Merlino e diretto a noi, non è che un gratuito insulto.
Etimologicamente poi, amorfista vuol dire che non ammette forme. Che cosa autorizza il Merlino a pensare che noi abbiam perduto il ben dell’intelletto al punto di creder possibile l’esistenza di una società, di una cosa qualunque, che non abbia una qualsiasi forma?
Amorfisti, perchè vogliamo che le forme che assumerà la vita sociale siano il risultato della volontà popolare, della volontà di tutti gl’interessati? Ma dunque il Merlino vuole che qualcuno le imponga al popolo contro o senza la volontà del popolo stesso? E le conservi con la forza anche quando avran cessato di rispondere ai bisogni ed al volere degl’interessati?
Discutiamo fin da ora dei vari problemi che possono presentarsi nella vita sociale e delle varie soluzioni possibili; facciam pure dei progetti sul modo di amministrare gl’interessi generali ed indivisibili del consorzio umano; prepariamo nelle associazioni e federazioni operaie gli elementi della riorganizzazione futura: tutto questo è utile, è indispensabile, perchè il popolo abbia una volontà illuminata e possa attuarla. Ma insistiamo perchè la riorganizzazione sociale si faccia dal basso all’alto, per il concorso attivo di tutti gl’interessati, senza che nessuno, individuo o gruppo, minoranza o maggioranza, despota o rappresentante, possa imporre con la forza alla gente quello che la gente non vuole accettare.
Merlino ci presenta una specie di schema di costituzione politica.
«Bisogna distinguere» egli dice, «le faccende più importanti e di cui tutti più o meno s’intendono, e queste farle decidere direttamente dal popolo nei Clubs o Associazioni, i cui delegati si riunirebbero, come nelle Convenzioni americane, unicamente per concretare la soluzione definitiva in conformità dei mandati ricevuti. Per faccende meno importanti e per quelle che richiedono speciali cognizioni, costituire Amministrazioni speciali – senza legame gerarchico tra loro – soggette al sindacato popolare». «Avanti tutto il popolo deve concorrere alla nomina degli amministratori pubblici; poi questi devono offrire guarentigie di capacità, inoltre vi devono essere regole di amministrazione che impediscano gli arbitrii e i favoritismi; gli amministratori devono rimanere uguali a tutti gli altri cittadini e ricevere in compenso delle loro fatiche un trattamento approssimativamente uguale a quello che i cittadini tutti ricavano dal loro lavoro; infine gl’interessati devono potersi opporre agli atti ingiusti degli amministratori pubblici e chiamare questi ultimi a render conto pubblicamente dell’opera loro». «Bisogna, sulla base dell’uguaglianza delle condizioni economiche, elevare un sistema di amministrazione pubblica emanante direttamente dal popolo e non soggetto a nessun centro di governo».
Ma come si deve arrivare a questa e a qualsiasi altro modo di amministrazione degl’interessi collettivi? Ecco per noi la questione importante. Deve la nuova costituzione sociale esser formulata di getto da una costituente nazionale o internazionale, ed imposta a tutti? O deve essere il risultato graduale, sempre modificabile, della vita stessa di una società d’individui economicamente e politicamente eguali e liberi? Deve il popolo, dopo abbattuto il governo, nominarne un altro, il qual poi dovrebbe, secondo l’utopia dei socialisti democratici, eliminare se stesso; o deve distruggere completamente il meccanismo autoritario dello Stato e formare un regime libero per mezzo della libertà?
Questo Merlino non dice, e questo è il punto di divisione tra socialisti democratici e socialisti anarchici.
Nella sua conferenza di domenica a Roma, Merlino avrebbe, secondo il resoconto dell’Avanti! combattuto gli anarchici liberisti assoluti (ecco ancora degli appellativi di sapore equivoco), «perchè col loro sistema i prepotenti avrebbero modo di schiacciare i più deboli ed i più docili».
Dunque Merlino per mettere un freno ai prepotenti vorrebbe… mandarli al potere! O crede egli che al potere vi andrebbero i più deboli, ed i più docili?
O santa ingenuità!
Errico Malatesta